Pentapoli e Alto Medioevo - Secoli VI-XI

Risorta dalle distruzioni barbariche, Fano ebbe uno sviluppo lento e contrastato, entrando a far parte con Rimini, Pesaro, Senigallia e Ancona della Pentapoli Marittima, sotto la probabile guida di un tribunus civitatis soggetto all’esarca di Ravenna e riuscendo a conservare una sua non trascurabile rilevanza come scalo adriatico e nodo di transito stradale.

Una situazione durata fino alla ribellione delle città pentapolitane contro il decreto dell’imperatore d’oriente Leone III l’Isaurico per la distruzione delle immagini sacre (727 d.C.) e alla successiva invasione delle terre dell’esarcato da parte dei Longobardi di  Liutprando (anno 742), seguita da quella dei Franchi di Pipino prima e di Carlo Magno poi (fine sec. VIII) con cui ebbe inizio il contrastato periodo dell’anomalo protettorato franco, esercitato su un territorio imperiale affidato al pontefice romano.

Più tardi fu l’imperatore germanico Ottone I a concedere anche ai vescovi fanesi uffici e benefici di feudatari, fino al passaggio della città, con la discussa donazione di Ottone II (anno 1001), sotto la giurisdizione di Papa Silvestro II.

Non durò però molto, ché già Enrico IV, in lotta acerrima con Papa Gregorio VII, non esitò a porre l’assedio alla città (anno 1082), riaffermando sulla stessa i propri diritti di sovranità e aggregandola alla Marca di Guarnieri.

In tutti questi secoli lo sviluppo del vecchio nucleo urbano non registrò alcun incremento.

Fu conservato l’antico tessuto della città romana, pur con inevitabili sostituzioni di singoli fabbricati e dei principali edifici pubblici, né furono trascurate le fortificazioni come le vecchie mura romane più volte risarcite insieme con il ‘cassero’, sorto a difesa dell’antica porta augustea, e la cosiddetta ‘torre di Belisario’ diventata poi il campanile della cattedrale.

Crescente l’importanza acquistata a partire almeno dall’VIII secolo dell’abbazia benedettina di S. Paterniano, sorta extra moenia , lungo la via Flaminia, ad un chilometro circa dal centro urbano.

Qui monaci operosi e ben guidati dai vari abati si adoperarono nel dissodamento di terreni, nell’amministrazione di beni e nell’ufficiatura di chiese e cappelle su vasta area, comprendente anche alcuni ‘castelli’ dell’entroterra, e non senza contrasti con l’autorità vescovile.

I vescovi, come tipici rappresentanti dell’ambiente cittadino, non erano d’altronde interessati e veder sorgere centri di potere al di fuori della cinta urbana, tendendo a favorire l’ascesa dei ceti cittadini più attivi e intraprendenti; ciò che avrebbe costituito una chiara premessa al sorgere, al posto del vecchio potere comitale, di un nuovo organismo di potere cittadino: il comune.