Ex Concordia Felicitas

‘Ex concordia felicitas’ ammonisce la scritta sull’antico stemma civico fanese e che dalla discordia non derivino benessere e felicità lo testimoniano le drammatiche vicende delle fazioni rivali facenti capo alle famiglie Del Cassero e Da Carignano (guelfa la prima e ghibellina la seconda).

In una Fano costellata di torri gentilizie e ancora solidamente protetta dalle antiche mura augustee la discordia continuò a dominare incontrastata, precipitando irrimediabilmente la città verso la perdita delle proprie libertà.

Erano i tempi di Papa Bonifacio VIII e dell’esilio di Dante Alighieri che non è improbabile abbia fatto sosta anche a Fano, ospite della famiglia Del Cassero (non va dimenticato che Ugone Del Cassero aveva preso parte alla prima crociata come alla seconda il bisavolo dantesco Cacciaguida), quando il governo di Fano, non diversamente da quanto accaduto in altre città, era ormai passato nelle mani di un podestà, chiamato da fuori a sostituire i consoli e a mettere pace fra le fazioni rivali.

Come ogni altro comune, la città possedeva ormai un vasto contado costellato di rocche e castelli, appartenenti ai nobili di maggior fama e ricchezza. E tali nobili, o perché originari della città o perché in essa inurbati, non mancavano di esercitarvi quel potere che derivava loro dal grado della famiglia e dal numero dei possedimenti e dei vassalli.

Superati presto in altre regioni dal popolo grasso, tali nobili non subirono la stessa sorte in territorio marchigiano dove divennero invece sempre più potenti, finendo domati solo da quei tiranni o signori che, approfittando anche dell’esilio avignonese dei pontefici, finirono con il sostituirsi all’autorità podestarile nell’oppressione delle libertà comunali: ciò che accadde anche a Fano con il graduale trapasso dei poteri nelle mani dei Malatesti da Verrucchio.

Guelfi e Ghibellini, dunque, e discordie sempre maggiori; né giovò ad acquietarle l’eccidio cruento e ammonitore sul mare di cattolica dei ‘duo miglior da Fano’ (Guido I Del Cassero e Angiolello Da Carignano) ad opera dei sicari di Maltestino Malatesti (1304), il dantesco ‘traditor che vede pur con l’uno’.