Fanum Fortunae e Colonia Julia Fanestris

Secoli I a.C. VI d.C.

Come si legge nel De bello civili , quando Caio Giulio Cesare varcò con le sue legioni il Rubicone (49 a.C.) occupò e fece presidiare da altrettante coorti Pesaro, Fano e Ancona.

E’ questa la prima volta che la città (Fanum ) appare citata nei testi antichi, senza però indicazione alcuna sulle sue origini rimaste tuttora sconosciute.

Resta il fatto che il territorio fanese ha restituito reperti preistorici e protostorici (dal paleolitico all’età del ferro) sufficienti a testimoniare la presenza di insediamenti preromani disseminati sia in pianure che lungo le pendici collinari di tutta la bassa valle metaurense.

Certa è la denominazione più antica della città (Fanum Fortunae ) che rimanda al Tempio della Fortuna (forse inizialmente solo un piccolo sacello a ricordo della famosa battaglia del Metauro che nell’anno 207 a.C. vide sbaragliato dalle legioni romane l’esercito del cartaginese Asdrubale) intorno al quale si sarebbe poi sviluppato l’abitato: all’inizio non più di un conciliabulum là dove la consolare Flaminia (aperta nel 222 a.C.), ormai prossima al mare, volgeva a nord in direzione di Rimini.

Successivamente, al tempo dell’imperatore Cesare Ottaviano Augusto, il suo nome fu quello di Colonia Julia Fanestris , ascritta alla tribù Pollia, che si estendeva su un’area di 18 ettari (pari a due terzi circa dell’attuale centro storico) ed il suo disegno urbano era formato da un reticolato di cardi e decumani ancora oggi chiaramente leggibile.

A sud-ovest del centro murato un’estesa centuriazione estendeva i suoi limites maritimi et montani per non meno di 48 centurie, pari a 2400 ettari.

Il noto ‘cippo graccano’, ritrovato nel 1738 in località S. Cesareo, testimonia d’altronde che l’ager publicus fanese aveva già subito una prima suddivisione all’epoca delle leggi agrarie presentate dal tribuno Tiberio Sempronio Gracco (133 a.C.).

Fu comunque solo con la deduzione della colonia che l’abitato finì con l’acquistare le dimensioni e l’importanza di quel centro urbano a cui l’imperatore Augusto murum dedit : fece cioè cingere la città con mura, le stesse ancora parzialmente conservate con i relativi torrioni e con la monumentale porta a tre fornici (il cosiddetto ‘Arco d’Augusto’) che dava e dà accesso all’antico decumano massimo.

Ciò spiega l’erezione ad opera di Marco Vitruvio Pollione di quella Basilica (con annesso Augusteo e Tribunale) che innalzava le proprie imponenti strutture su un lato del Foro, dirimpetto al Tempio di Giove, e che fu per alcuni secoli il luogo di incontro e contrattazione di coloni e mercanti, fino ai tempi dell’imperatore Aureliano, quando le legioni romane fecero strage presso l’ormai storico fiume Metauro degli invasori Jutungi (271 d.C.), e anche dopo, fino all’editto di Costantino (313 d.C.), allorché il credo cristiano trovò in S. Paterniano (275-360 circa) il suo più fervido predicatore e primo vescovo certo della città.

Duecento anni ancora e tutto avrebbe cessato di esistere fra le distruzioni e gli incendi portati dai Goti di Vitige in disperata lotta contro le milizie del generale bizantino Belisario (558 d.C.).